Il ritorno ai lettori di Marta Morazzoni era certamente atteso, per le belle prove che ci aveva dato in precedenza e per il particolare carattere della sua narrativa: certo una delle voci più nuove e importanti di questi anni.
Abbiamo letto nell’86 “La ragazza col turbante” (libro già tradotto in nove lingue) con alcuni splendidi racconti e “L’invenzione della verità” nell’88, con una narrazione condotta su due binari che con una certa difficoltà si incontravano, ma con pagine di grande rilievo. Ecco ora “Casa materna”, sempre da Longanesi, più che un romanzo un lungo racconto di poco più di cento pagine che tocca in profondo e ci dà una sottile e, allo stesso tempo, vibrante emozione.
Ambientato in Norvegia con tre soli personaggi, sembra un libro fatto da niente per quello che riguarda la vicenda, e invece in queste pagine c’è una circolazione di affetti trattenuti, di malinconia, di esplorazione dei personaggi, con una necessaria partecipazione ai colori del paesaggio che danno un risultato di prima qualità.
Tutto questo avviene, naturalmente, per la forza stilistica della Morazzoni, per la sua grande capacità di scrittura, per la sua sensibilità così acuta e insieme così sfumata, pienamente convincente. Sono poche le prove di questo tipo che ci riconfortano, di tanto in tanto, a seguitare a credere nella presenza della nostra narrativa.
